Essere famiglia tra la tradizione e le trasformazioni

Essere famiglia tra la tradizione e le trasformazioni

Nella mia pratica clinica incontro molte famiglie, ognuna con caratteristiche peculiari e composizioni differenti: famiglie composte da figli con una madre e un padre, coppie divorziate che hanno riavviato progettualità di famiglia allargata con nuovi partner e magari altri figli di precedenti unioni, famiglie composte dai figli ed un solo genitore, famiglie di coppie omogenitoriali, composte quindi da genitori dello stesso sesso.

Basterà questa semplice descrizione per far comprendere che i modi di essere famiglia oggi sono molto più variegati e “mobili”di quanto potesse avvenire, ad esempio, quarant’anni fa quando la famiglia “tradizionale” proponeva una configurazione tendenzialmente molto diversa, più estesa nella sua composizione, inclusiva anche delle generazioni dei nonni o dei bisnonni, tendenzialmente con un’impostazione patriarcale. Proprio per questo nel mio lavoro di psicoterapeuta è irrinunciabile interrogarmi costantemente sul rapporto dinamico e d’inestricabile influenza che si genera tra mutamenti economici, sociali, culturali e il modo in cui “si fa famiglia”.

E’ dentro questa intricata cornice a più dimensioni che il modo di essere una famiglia assume leggibilità, senso dinamico, mai determinato una volta per tutte. Questo è importante per chiarire che non esiste un unico modello di famiglia. Il modo di fare famiglia non è immutabile e non lo è mai stato, ma assume varie forme inserite in un preciso contesto storico-culturale: la cultura di un popolo si modifica nel tempo, va da sé che anche le “tradizioni”, il modo di strutturare i legami sociali e familiari ne viene influenzato e si trasforma a sua volta.
In sostanza, nella prassi clinica, non è attendibile, né efficace accontentarsi di utilizzare solo vecchie mappe per esplorare nuovi territori, usare definizioni o teorie totalmente esaustive per quel che ci è già noto ma di nessun aiuto su trasformazioni in atto e che, anzi, potrebbero verificarsi pericolosamente pregiudiziali. Il mio lavoro, nell’epoca straordinariamente trasformativa in cui viviamo, ha bisogno soprattutto di questo tipo di disponibilità da parte del clinico, un costante interesse ad osservare con curioso impegno e rigore quello che ancora è ampiamente ignoto e inedito e cercarne significati fenomenologici che siano d’aiuto alle situazioni che incontra.

Una particolare riflessione merita, a mio avviso, proprio la famiglia composta da coppie omogenitoriali, una realtà abbastanza recente come formazione familiare.

 

Innanzitutto, cosa sono le famiglie omogenitoriali, da chi sono composte?

Le famiglie omogenitoriali nascono da un progetto di genitorialità condivisa, in cui due persone dello stesso sesso legate da una relazione sentimentale, rispondendo a desideri individuali e di coppia, compiono insieme una scelta generativa, in questo caso “familiare”.

Qualche dato aiuterà a comprendere la significatività di queste nuove forme di famiglia che non minacciano la realtà di altre forme dell’esistere familiare, ma semplicemente ci si affiancano come altro modello possibile. L’Istituto Superiore di Sanità ha stimato che in Italia i bambini e i ragazzi cresciuti in famiglie omogenitoriali sono circa centomila, dato probabilmente sottostimato e non aggiornato da un punto di vista numerico proprio a causa del fatto che l’omogenitorialità non trova ancora in Italia una regolamentazione giuridica e di conseguenza non può neanche godere di un “censimento” attendibile.

Questo aspetto sottolinea una prima grande criticità rispetto ad un’assenza di tutele nei confronti di queste famiglie, con tutti gli aspetti che derivano dal fatto che il genitore “non biologico”, per la legge non ha nessun diritto e dovere riconosciuto nei confronti del proprio figlio in caso di scelte importanti su temi di salute e cura; se poi venisse a mancare il genitore biologico, riconosciuto dalla legge come unico genitore, l’altro genitore non avrebbe nessun ruolo garantito dallo Stato.

Questi aspetti possono incidere pesantemente nella costruzione di un sentimento di solidità e di sicurezza del proprio nucleo familiare, pongono inoltre i figli in un vuoto giuridico pregiudiziale che non ne tutela il benessere e il riconoscimento di diritti fondamentali. Non mancano solo le tutele, ma a monte mancano i nomi con cui chiamare i fenomeni esistenti; pensiamo alla legge n.76 del 2016, nota come legge Cirinnà, in cui veniva proposta e definitivamente eliminata la“step child adoption”. Questa norma permette l’adozione del figlio del coniuge, con il consenso del genitore biologico, solo se l’adozione corrisponde all’interesse del figlio. L’estensione di questo diritto alle coppie omosessuali, appunto la “step child adoption” non ha neanche una denominazione in italiano. Questo aspetto è significativo perché ci dà la misura di quanto manchino del tutto codici di riferimento esplicativi condivisi per definire nuovi processi e trasformazioni in atto, cioè realtà che al di là di un nome chiaro già esistono di fatto.

Questa anomia si riflette in tutta la sua complicazione proprio nel tessuto della vita sociale di queste famiglie e nelle azioni che ne scandiscono il quotidiano. Da un punto di vista psicologico questi elementi rappresentano per questi gruppi familiari un potenziale fattore di stress.

Entrando nella questione più recentemente dibattuta, è vero che due genitori potrebbero creare problematiche al proprio figlio per il fatto di essere genitori dello stesso sesso? E’ vero che un bambino per crescere sano ha bisogno di una madre e di un padre?

La letteratura scientifica in ambito pedagogico, psicologico e psichiatrico (ad esempio l’American Psychological Association e l’American Academy of Pediatrics per citarne solo alcune rappresentative) sostiene in modo concorde che il solo fattore a determinare una discriminante nello sviluppo sano di un bambino riguarda la competenza genitoriale, cioè la coscienziosità e la capacità di fornire cure indipendentemente dal fatto che i genitori siano uomini o donne, etero o omosessuali. Tutte le opinioni contrarie quindi non sono orientate e informate da dati scientifici o clinici ma spesso risentono perlopiù di convinzioni personali e/o ideologiche. In sintesi, non emerge in modo significativo alcun tipo di differenza tra bambini con genitori dello stesso sesso o di sesso diverso.

Credo che, dati tutti gli aspetti di faticosità che ad oggi le famiglie omogenitoriali devono affrontare, si debbano ridurre il più possibile i rischi di disagio connessi a fattori di stress psicologico e sociale.

Per questo penso che un consiglio utile sia di non rimanere da soli, di creare collegamenti tra la propria nuova famiglia con le comunità d’appartenenza di entrambi i genitori, costituite dalle proprie famiglie d’origine, dai gruppi di amici con cui condividere le fatiche e gli aspetti più ricchi della vita quotidiana. Può essere molto utile entrare in contatto con famiglie che vivono la stessa esperienza, che magari hanno già vissuto tappe ancora ignote per le coppie che progettano una vita familiare o che da poco hanno iniziato a viverla; è prezioso scambiarsi racconti, narrazioni, aspettative, desideri, paure, esperienze.

Credo inoltre sia un aspetto molto protettivo per le famiglie dedicarsi ad un “lavoro” di paziente connessione positiva e aperta con gli insegnanti delle scuole, con i genitori dei compagni di scuola dei propri figli, attivando un dialogo, facendosi conoscere, lasciando che dubbi e pregiudizi possano lasciare spazio a reali spazi condivisi di conoscenza e di autentico scambio.

 

Dr.ssa Francesca Sandri, psicologa, psicoterapeuta, gruppo-analista esperta in tematiche d’identità di genere ed orientamento sessuale in età evolutiva e in età adulta.